Feudalesimo Digitale: noi i nuovi servi della gleba sui social media

Questo articolo nasce già in contraddizione con sé stesso. Di seguito vorrei parlarvi del concetto di Feudalesimo Digitale”, nello stesso momento in cui avete aperto questa pagina, se qui siete arrivati da un social media, siete già dentro questa nuova forma di feudalesimo. Allo stesso modo, sempre grazie a questo “Feudalesimo Digitale” sono venuto a conoscenza di questo termine.

Messa così sembra un enorme corto circuito difficile da comprendere. Ma se vi va di proseguire nella lettura, vi spiego tutto.

Cos’è il Feudalesimo Digitale

Giorni fa apro Instagram, un mio amico mi aveva mandato un reel. Il video era un estratto di un intervento fatto per il festival “Le idee del Domani” del quotidiano “Domani”. A parlare è Adrian Fartade, citando letteralmente Wikipedia “un divulgatore scientifico, youtuber e scrittore rumeno naturalizzato italiano che si occupa soprattutto di astronomia e astronautica”.

Il concetto che esprime Fartade è molto semplice, provo a spiegarlo. Secondo lo scrittore stiamo andando verso un mondo in cui non possederemo nulla, ma tutto sarà in affitto, a suo avviso un ritorno al Medioevo in cui i Servi della Gleba, coltivavano un appezzamento di terra non di proprietà, ma che gli veniva concesso da un feudatario.

Non voglio entrare nella questione relativa al fatto che alcuni storici hanno messo in dubbio la nostra idea moderna dei Servi della Gleba, ma l’immagine è eloquente: siamo contadini che coltivano per conto di altri, senza possedere nulla. Ma chi sono questi altri? Qual è il campo che coltiviamo?

Fartade continua con le similitudini: il CEO a capo di un’azienda è come se fosse un nobile feudatario che ti concede un appezzamento di terra da coltivare. Mark Zuckemberg concede a tutti noi un pezzo di terra digitale su Instagram, Facebook e Threads. Gli altri CEO lo fanno con TikTok, YouTube e gli altri social media.

Ognuno di noi, per vivere la sua vita digitale, deve svegliarsi la mattina e produrre contenuti. Le aziende da questi contenuti creano valore ed è proprio su questo valore che le aziende guadagnano. Il divulgatore scientifico conclude prevedendo un ritorno ad un Medioevo, solo che sarà un Medioevo 2.0, davanti a cui nessuno si accorgerà di nulla proprio perché digitale e quindi considerato moderno.

Come guadagno i Social Network

Inizialmente il discorso di Fartade mi ha lasciato un po’ intontito. A primo impatto ho pensato “oddio, l’ennesimo complottista”, beh non è così. Il suo discorso ha perfettamente senso, è lucido e, purtroppo, terribilmente reale. Ma perché? Per capirlo è necessario comprendere come guadagnano le aziende che possiedono e gestiscono le piattaforme di social network.

Qualunque azienda che sta sul mercato, deve guadagnare e crescere, questa è la conditio sine qua non per essere un’azienda. Per poter fare ciò, è necessario che l’azienda abbia un modello di business che, semplificando, è il modello che adotta per generare ricavi. Per usare Instagram o Facebook, nessuno di noi paga un prezzo. Se per noi è normale andare al supermercato e pagare per comprare un pacco di pasta, non è normale pagare per usare Facebook.

Ma il produttore di quel pacco di pasta, guadagna da te che sei andato al supermercato a comprare la sua pasta. Se per Facebook non paghiamo, Mark Zuckemberg da cosa guadagna? “Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu” è una citazione del documentario Netflix “The Social Dilemma” che parla proprio dei Social Network.

Senza girarci intorno: i social network vendono il nostro tempo alle aziende. Il prodotto è la nostra attenzione e il nostro tempo passato a scrollare il feed. Ora vi spiego il meccanismo.

Paghiamo con il nostro tempo sui social

Meta, la società che possiede Facebook, Instagram, WhatsApp e Threads, guadagna dalle aziende che pagano per fare pubblicità su queste piattaforme. Nel corso degli anni, la pubblicità digitale sui social media è molto cambiata, ma nonostante ciò il funzionamento è sempre rimasto lo stesso.

Le aziende utilizzano uno strumento professionale in cui allocano un budget su uno o più annunci pubblicitari, che Meta mostra ai propri utenti in base alle caratteristiche dell’utente stesso. Ogni azione che noi compiamo sui social network è tracciata e memorizzata, per cui veniamo etichettati sia per gli interessi che abbiamo mostrato, sia per le azioni che abbiamo compiuto. Proprio in base a questo tracciamento, l’algoritmo di Meta sceglie quali annunci pubblicitari farci vedere. Noi vediamo gli annunci per cui, secondo Meta, siamo più propensi a fare un’azione, sia essa un acquisto o la semplice visita di una pagina web o di un profilo sui social stesso.

Sono concetti complessi, non basterebbe questo articolo per spiegare tutto, per cui vi chiedo di perdonarmi alcune semplificazioni. Questo non è certo un concetto nuovo, anche la TV commerciale funziona allo stesso modo: le aziende comprano la pubblicità durante un programma televisivo e l’azienda può stare in piedi solo se crea programmi che interessano al pubblico e che insieme al programma, guarda anche la pubblicità.

Ciò che cambia sui social network è la pervasività del messaggio pubblicitario e anche la personalizzazione dello stesso. Se in TV, lo spot è uguale per tutti, su Facebook no: tutte le tracce che lasciamo quando navighiamo, vengono utilizzate per farci vedere l’annuncio pubblicitario più vicino ai nostri gusti. In TV vediamo tutti lo stesso spot, su Facebook no.

In tutto questo cosa c’entra l’appezzamento di terra digitale da coltivare? Se in TV abbiamo un’azienda che produce il programma che guardiamo e in cui viene inserito lo spot, sui social media non è certo Meta che produce contenuti: siamo noi.

Per cui, noi siamo sia il prodotto che Meta vende, sia i produttori che permettono all’azienda di vendere alle aziende lo spazio pubblicitario. Per assurdo, se nessuno di noi producesse contenuti su Facebook, il social sarebbe una piattaforma di sola pubblicità, con la conseguenza che nessuno userebbe più il social di Zuckemberg. Per cui Meta vuole che noi pubblichiamo contenuti, interagiamo con le persone e soprattutto che passiamo più tempo possibile su queste piattaforme.

Più tempo passiamo, più annunci vediamo, più le aziende che acquistano gli annunci guadagnano, più Meta potrà vendere altra pubblicità.

Conclusioni

L’algoritmo di Meta, e dei social network in generale, che sceglie quali contenuti farci vedere, è pensato con un obiettivo: massimizzare il tempo che l’utente passa sulla piattaforma, il perché lo abbiamo già visto nel paragrafo precedente.

Mi sorge spontanea una domanda: quante delle persone che utilizzano giornalmente Facebook, Instagram e TikTok conoscono quanto scritto in questo articolo? Quante persone, non addette ai lavori, sono consci di quanto siamo noi i prodotti in questo modello di business? Ahimé, temo che la risposta la sappiamo già.

Il problema resta sempre lo stesso: usiamo i social media senza consapevolezza, e questo li rende degli strumenti pericolosi.

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