Ho iniziato a fare teatro in prima elementare, ho proseguito fino alla terza media. Arrivato a Pisa, per l’università, è stato il turno dell’improvvisazione teatrale, un burrascoso idillio durato otto anni. Da due anni è il turno dell’acrobatica aerea. Tutto questo per dire cosa? Semplice: io, lontano dal palcoscenico, non riesco a starci.
Proprio per questo, a gennaio di quest’anno, ho iniziato “Wow!”, il corso come aspirante Drag Queen di Lalique Choette. Non lo sapevo, ma alla fine del percorso avrei fatto pace con me stesso.
L’idea di fare la Drag Queen
Se dovessi definire qualcosa come “il mio posto”, quello sarebbe il palcoscenico. Senza ombra di dubbio. Ricordo che a 7 anni, mi impegnavo con tutto me stesso per essere quel maledettissimo personaggio che mi era stato assegnato durante il laboratorio di teatro.
Uno stralunato presentatore di un programma TV. Un’enorme giacca bianca, presa in prestito da un cameriere, che mi arrivava alle ginocchia. Un pantalone nero, tinto in lavatrice. Capelli super impomatati da abbondantissimo gel.
Poi all’università è arrivata l’improvvisazione teatrale. Nessun copione ma tante regole. L’improvvisazione era fatta per me, io ero fatto per l’improvvisazione. Veniva fuori tutto il mio istrionismo, il mio essere prima donna, il mio inventare storie strampalate.
Da bambino amavo scrivere, inventare e raccontare. Sul palco, improvvisando, inventavo e vivevo cosa inventavo. Poi anche con l’improvvisazione è finita. C’è sempre un momento per salutarsi. È arrivato il circo. L’acrobatica aerea. Ho sempre amato il teatro. Ho sempre amato il circo. Qui unisco entrambe le passioni.
Il mio corpo sul palcoscenico, per me, rappresenta tutto. Il corpo sul palcoscenico è tutta comunicazione. La prosa, l’improvvisazione, l’acrobatica aerea sono modi per esprimersi, per comunicare un messaggio. E allora perché non sperimentare un nuovo modo di comunicare? Perché non sperimentare un nuovo linguaggio?
Non saprei spiegare il perché, ma il mondo delle Drag Queen, così eccessivo, così appariscente, mi attirava, era magnetico. Allora perché non giocarsi questa opportunità?
Drag Queen: nessuna maschera
Lo ammetto, io del mondo Drag Queen so davvero poco, non ho mai visto RuPaul Drag Race, salvo la prima edizione fatta in Italia, non conosco Drag Queen famose. Tutto quello che so l’ho visto dal vivo in qualche serata nei locali. Ho scelto di approcciarmi al corso senza nessun preconcetto, salvo una convinzione: che fare Drag Queen implicasse mettere una maschera, nel senso più pirandelliano del termine. Nulla di più sbagliato.
Tra vari esercizi e giochi ha iniziato a prendere forma il mio personaggio. Esisteva solo nella mia mente, la immaginavo, la pensavo, la manipolavo per renderlo sempre più reale. Quando mi è stato chiesto di descriverla in tre aggettivi, è stato facile: diva, dissacrante e incapace.
Ma questi tre aggettivi, riguardavano solo il mio personaggio in progress? No, questi tre aggettivi riguardano me. Ascoltando Lalique Choette guidarci, e quindi anche le parole delle altre aspiranti Drag Queen, ho capito una cosa: il mio personaggio era un’estremizzazione di me stesso. Io non ero altra cosa rispetto al personaggio e la mia drag queen non è altro rispetto a me. L’uno legittima cosa l’altro, nei suoi panni, fatica a essere e spesso nasconde.
Nasce così Narcisa Pathos.
Chi è la Drag Queen Narcisa Pathos
Ora, nata non è proprio la parola giusta. Narcisa c’è sempre stata. Ho solo scelto di legittimarla. Il nome nasce almeno due anni fa. In una serata che vedeva protagoniste le allieve degli anni precedenti di Wow!, una delle Drag Queen, ovvero Magà Margò, mi diede ironicamente del narcisista patologico.
Da lì, insieme alle amiche che erano con me durante la serata, è nata un po’ di ironia sulla cosa. A volte, se osservato esternamente e in maniera superficiale (non nel senso negativo del termine), un po’ narcisista patologico potrei apparirlo. Ma è un mio modo per schermare timidezza e insicurezza.
Allora perché non estremizzare in un personaggio questo tratto? Quindi, narcisista patologico si trasforma in Narcisa Pathos. Ma chi è la Signorina Pathos? Una diva un po’ incapace, convinta di saper fare tutto, capace di fare niente. Finta perfezionista svampita, oca e dai modi fintamente cortesi.
Quindi, se Fabrizio ha imparato che non si può mai essere perfetti, Narcisa è la prova che essere imperfetti è la chiave per stare bene con sé stessi. Narcisa è caduta dalle scale dei camerini prima dello spettacolo di debutto (come dicevo, è un po’ incapace). Ma è salita comunque sul palco con le gambe tremanti, per fare il suo debutto e per prendersi gli applausi.
Però, c’è stata una cosa estremamente difficile: riuscire a convincere me stesso a dare spazio a Narcisa. Non si può portare, in maniera convinta e quindi credibile, su un palco, un personaggio che non abbia davvero spazio in chi lo interpreta.
Un bambino che si vergognava di volere il rossetto
Ero un adolescente effemminato, preso in giro e deriso. Ancora prima, ero un bambino che bramava il rossetto che vedeva essere usato dalle donne. Un bambino che sperava esistesse lo smalto per i maschi. Sono stato un bambino nei primi anni Duemila, in cui la differenza tra bambini e bambine era netta.
Avevo così imparato a mettere da parte tutte quelle speranze. Nulla di eccezionale, un qualcosa di molto comune. Ma ecco, questa cosa molto comune è quello che ho sublimato per far legittimare Narcisa.
Per dire a quel bambino che veniva preso in giro perché effeminato, che andava bene così. Che salire sul palco con la parrucca, i tacchi, i fianchi finti e lo stringivita non lo rende meno uomo. E quindi ho iniziato a godere dell’adrenalina nella scelta del rossetto, dei tacchi, di abiti pieni di paillettes. Perché non esistono cose da uomo e cose da donna: esistono cose che ci fanno stare bene e ci fanno sentire vivi. Giudizi e pregiudizi non sono saliti con me sul palco del debutto.
Intorno a Narcisa Pathos
Ma la cosa più bella del percorso guidato da Lalique Choette, sono state le persone. Chi ha condiviso con me questa avventura, mi ha permesso di uscirne arricchito. Direte: wow, davvero originale uscire arricchiti da un percorso. Io però non mi aspettavo di uscirne come ne sono uscito.
Ho imparato che ogni dolore può essere sublimato, che ogni paura può essere derisa, che ogni giudizio può essere ignorato. Così ho scoperto che qualcuno coltivava questo sogno da anni, ma che per vergogna teneva la parrucca nell’armadio. Ho capito che se da piccola ti chiamavano mostriciattolo, se hai fatto i conti con i demoni, allora la tua drag queen è esattamente un modo mostruoso per irridere proprio quei demoni.
Ho capito, che se per nasconderti ti sei sempre vestito di nero, la tua drag queen non può che essere eccessivamente colorata. Ho scoperto che ci vuole coraggio ad affrontare un percorso di transizione da donna a uomo, e scegliere di fare questo laboratorio, anche per fare pace con la propria parte femminile.
Ho scoperto che essere una drag queen è un atto di coraggio, la voglia di andare oltre, di essere altro oltre giudizi, pregiudizi e dolori. Ma non basta, il coraggio viene anche dalle persone che ti stanno intorno, e magari del mondo drag ne sanno meno di te.
E allora in questi mesi mi ha sempre commosso, sentire che le persone accanto a me hanno creduto in Narcisa prima che ci credessi io stesso. Nella scelta dei trucchi da comprare, abiti, tacchi, o il pezzo da portare sul palco. Nei commenti a ogni prova fatta il sabato pomeriggio per imparare a truccarmi. Tutti stretti a me in questo percorso.
Conclusione
Tra un occhio lucido, una certa incapacità a camminare sui tacchi e tra make – up raccapriccianti, ho portato la Signorina Pathos su un palco. Col suo portamento da “diva sempre, aggraziata mai”. Salendo su quel palco, ho lasciato giù tante cose, tutte quelle cose hanno lasciato spazio a una diva che luccica in un abito di paillettes.