Sacerdoti Influencer: evangelizzazione o solo ego? Intervista a Don Cosimo Schena

Il 28 e il 29 Luglio, in Vaticano, in questo anno giubilare, si terrà il Giubileo dei “Missionari Digitali”. Semplificando, i Missionari Digitali sono uomini e donne che vivono una vita consacrata a Dio, e in generale, chi utilzza i social media per fare attività di evangelizzazione. Un nuovo strumento, quello dei social media, il solito messaggio: la Buona Novella raccontata nei vangeli. 

Il parroco della parrocchia del mio piccolo paese di provenienza, da giovane era stato missionario in Brasile, la Chiesa Cattolica ha sempre tenuto molto in considerazione questa opera di diffusione della religione cattolica nel mondo. Per cui, utilizzare i Social Media, per raggiungere persone a cui portare il messaggio del Cristo Risorto, non è altro che l’approcciarsi a un nuovo mezzo. Perché la Chiesa dovrebbe rinunciare a raggiungere fedeli con le tecnologie digitali? Analizziamo la questione. 

Missionari Digitali o aspiranti Influencer?

Giorni fa, mi sono imbattuto in un articolo pubblicato sul sito teologiadelcorpo.it, che aveva come titolo “Missionari digitali o aspiranti influencer? 3 bucce di banana da evitare”. Il titolo è particolarmente eloquente e parte da una critica che riporto di seguito: «Spesso, l’impressione che ho guardando certi influencer cattolici è che più che rispondere a un bisogno della Chiesa stiano piuttosto rispondendo ad un loro personale bisogno. E questo bisogno personale tante volte porta fuori mira rispetto al reale bisogno della Chiesa».

Riassumendo la questione: questi missionari digitali, hanno davvero come obiettivo quello di evangelizzare e diffondere il messaggio cattolico? Oppure il messaggio è solo un escamotage per mettersi in mostra? L’articolo prosegue con queste “3 bucce di banana da evitare”. La prima è “Il bisogno di stima e riconoscimento”, ovvero, la possibilità che il missionario digitale, metta avanti questo suo legittimo bisongo, invcece di mettere al primo posto l’opera di evangelizzazione, quindi la creazione di “una specie di corto circuito: con il nobile intento di evangelizzare succede che mi ritrovo a nutrire il mio ego”.

La seconda buccia di banana è “La smania di sentirsi abilitati a parlare di tutto”, questo però riguarda qualunque persona che utilizza i social media, per cui non attribuirei la questione solo ai missionari digitali. La questione è più complessa

Mentre la terza e ultima buccia è “Sentirsi i paladini che difendono la fede“, l’articolo spiega così “Spesso quando ci si sente così, capita che si creda di evangelizzare spiegando alle persone come si devono comportare e perché.

Questo atteggiamento, che potremmo riassumere nella parola ‘moralismo’, crea inesorabilmente divisioni e chiusure: sentirsi giudicati e trattati con superiorità spegne ogni apertura al dialogo e all’incontro. Ecco allora servito il paradosso del moralismo: invece di costruire ponti, si alimentano sterili polemiche e dibattiti; invece di seminare bellezza e gioia, si diffondono giudizi e sentenze

L’articolo accende un faro, in maniera dura, su una questione reale e concreta. Sono questioni che riguardano non solo i missionari digitali, ma direi che riguardano tutti i fruitori dei social media. Questo però è un caso peculirare: siamo di fronte a religiosi, che fanno dell’evangelizzazione una missione di vita, e la domande quindi è: questo modo di evangelizzare (vero o presunto) viola in qualche modo i dettami del vangelo? È contrasta in qualche modo con l’etica a cui è chiamato un religioso o una religiosa?

Intervista a Don Cosimo Schena

Cercando su Google “Missionari Digitali” ci si può imbattere in un articolo del Corriere della Sera, che ha il seguente titolo “Da prete a influencer è un attimo: muscoli, abiti attillati e fitness. Il messaggio cristiano si fa social”. A mio avviso è un titolo fuori dal tempo, il motivo è semplice: sconta una visione del religioso arcaica e superata.

Prima di definirmi ateo, ho avuto il piacere di passare anni nel gruppo giovani della parrocchia e di frequentare eventi diocesani, momenti di preghiera e aggregazione, tutto questo mi ha permesso di capire una cosa: un sacerdote o una religiosa, sono persone comuni, con le stesse esigenze di chiunque altro e che vivono una vita come chiunque altro, l’unica differenza è la missione a cui sono chiamati. Per cui come tutti vanno in palestra e possono indossare abiti attillati. La cosa su cui focalizzarsi è un’altra: l’ego e la necessità di eco mediatica è prevalente rispetto all’evangelizzazione?

Ho scelto di chiederlo direttamente a un missionario digitale, ovvero a Don Cosimo Schena. Sacerdote brindisino, psicologo con un dottorato in Filosofia con oltre 450 mila follower su Instagram e 230 mila su TikTok. La prima domanda è assolutamente necessaria. 

Cosa vuol dire essere un Missionario Digitale? Cos’è oggi l’evangelizzazione?

Essere un missionario digitale non è semplicemente “usare i social per parlare di Dio”. È molto di più. È abitare i luoghi dove oggi le persone vivono davvero, anche se non sempre se ne rendono conto: tra uno scroll di notte e un silenzio pieno di solitudine, tra una storia vista in fretta e un post che riesce, inaspettatamente, a toccare il cuore.

Un missionario digitale è qualcuno che trasforma il proprio profilo in una soglia di misericordia. Non lancia dogmi, ma tende mani. Non si impone, ma accoglie. Non giudica, ma ascolta. Non parla di Dio come se fosse distante, ma lo fa incontrare in modo intimo, attraverso parole semplici, immagini che curano, poesie che accendono la luce dove regna il buio.

Evangelizzare oggi non significa alzare la voce o convincere qualcuno, ma camminare accanto. È un’arte di prossimità, di ascolto, di tenerezza. È saper riconoscere che dietro ogni profilo c’è una persona con le sue domande, le sue ferite, la sua sete d’amore. È dire: “Dio ti vede, proprio lì dove tu pensi di essere invisibile”. Perché Dio passa ancora, anche tra un post e una notifica, se trova cuori disposti a vibrare di compassione.

Evangelizzare oggi è portare il Vangelo nei deserti invisibili dell’anima, dove la fede sembra scomparsa, ma in realtà è solo addormentata. È raccontare con la vita che l’amore non è sparito: si è solo fatto più umile. E cerca nuovi modi per farsi trovare. Io credo che questa sia la missione più bella: seminare bellezza e misericordia lì dove nessuno guarda, ma dove Dio invece vede e ama. Anche se è solo un post. Anche se è solo un commento. Anche se è solo un like dato con il cuore.

L’accusa che da più parti viene mossa è che l’evangelizzazione e la diffusione del messaggio evangelico sia una scusa per fare gli influencer. Ovvero, venite accusati che il primo obiettivo che perseguite sia la fama personale e non la diffusione del Vangelo

Questa accusa non viene mossa ad altre persone che fanno i Content Creator e gli Influencer (si guardi a professori come nel caso di Vincenzo Schettini), perché viene meno la dimensione religiosa. Il dubbio da esterno può venire. Per esempio nei link presenti sul profilo di Don Cosimo, è presente quello per acquistare il libro di cui il sacerdote è autore, e il form per prenotare un colloquio psicologico con lo stesso Don Cosimo, essendo appunto uno psicologo

Per cui, la prima buccia di banana sopra citata, appare legittima, e allora la domanda a Don Cosimo viene naturale.

Cosa si sente di dire a chi l’accusa di strumentalizzare l’evangelizzazione per tornaconto personale e per ego?

Sorrido, con il cuore, a chi pensa questo. Perché so bene che quando scegli di metterci il volto, la voce e la verità, inevitabilmente ti esponi anche alle critiche. Ma evangelizzare non è mai stato, per me, un modo per apparire. È stato, semmai, il modo per non sparire.

Se sono arrivato qui, è perché un giorno ho toccato il fondo. E in quel buio ho promesso a Dio che, se mi avesse rialzato, avrei parlato di Lui con ogni mezzo possibile. Anche attraverso un telefono. Anche dentro un social. Anche con una poesia.

Non ho mai cercato applausi. Ho cercato anime. E le anime, quando le guardi davvero, ti restituiscono verità, non like. So che il rischio di essere fraintesi è altissimo, soprattutto quando si comunica molto. Ma io non evangelizzo per farmi vedere. Lo faccio per far vedere Lui, che si nasconde nei piccoli gesti, nei messaggi a chi è solo, nei commenti che arrivano a notte fonda e chiedono solo: “Mi puoi ascoltare?

E a chi pensa che ci sia del tornaconto personale, rispondo con la mia vita. Con le tante notti insonni passate a rispondere a chi stava per farla finita. Con i sorrisi di chi, grazie a una parola ricevuta online, ha trovato la forza di rialzarsi. Con le lacrime di chi si è sentito finalmente visto da Dio.

Alla fine, l’unico tornaconto che desidero è questo: che qualcuno, anche solo uno, si senta amato. E se questo significa anche espormi, accettare giudizi e camminare con il cuore nudo, allora sì: ne vale la pena. Perché l’amore vero non fa rumore, ma lascia traccia.

In Europa, culla e patria della diffusione del cattolicesimo, si registra ,ormai da anni, un calo sistematico dei fedeli. La dimensione religiosa sta cambiando e la Chiesa di Roma deve fare i conti con questo: Papa Francesco, Pontefice che potremmo definire “Pop” si rivolgeva molto a non credenti ed era molto amato da questi. 

Per questa ragione era spesso accusato di comportarsi in quel modo con intenti di marketing, quasi un modo per dare una nuova immagine alla chiesa cattolica per fermare l’emorragia dei credenti. I social media sono lo specchio della società e Don Cosimo i social li conosce bene e conosce bene le persone che li abitano. 

Oggi per le persone cosa significa la religione cattolica? Cosa significa oggi credere nel messaggio del Vangelo?

Oggi la religione cattolica per molti non è più un’appartenenza anagrafica, ma una domanda interiore. Non è più solo il catechismo da bambini o la Messa della domenica, ma qualcosa che si cerca nel silenzio delle proprie notti, nei dolori che non hanno parole, nelle preghiere che escono rotte dal cuore.

Per tanti, la religione non è più istituzione, ma relazione. Un bisogno profondo di sentire che Dio non è una dottrina da imparare, ma un Amore che non smette di cercarti, anche quando ti perdi. Credere oggi nel Vangelo non significa semplicemente “sapere” cosa dice Gesù, ma scegliere di fidarsi di quelle parole anche quando il mondo ti dice il contrario.

Credere nel Vangelo, oggi, è un atto di coraggio. È scegliere la mitezza in un tempo che grida. È perdonare quando sarebbe più facile chiudersi. È amare senza possedere. È donarsi anche se si è stati feriti. È ancora credere che la luce vince, anche quando tutto sembra buio.

La fede non è più scontata. È una scelta, fragile e potente. E forse è proprio questo il dono di questo tempo: che chi crede, lo fa davvero. Non per abitudine, ma per sete.

Io incontro ogni giorno tante persone che si dicono lontane dalla Chiesa, ma che sono vicinissime a Dio. Perché magari non conoscono i dogmi, ma conoscono la fame d’amore. E lì, proprio lì, il Vangelo diventa vivo, in un cuore che si lascia amare di nuovo.

Conclusioni

Non posso che ringraziare Don Cosimo per le sue risposte, ma direi che la questione “missionari digitali o ego” resta aperta e non ha certo una risposta univoca. Ho però ritenuto interessante mettere a confronto due visioni antitetiche in modo che ognino, leggendo questo articolo, possa sviluppare un suo peculiare punto di vista.

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