Prima di scrivere questo articolo, permettetemi una premessa. Il contesto geopolitico internazionale, la schizofrenia di Donald Trump, le guerre, una situazione economica non semplice, stanno ammazzando la mia voglia di scrivere e parlare di attualità e politica. Siamo costantemente di fronte a notizie negative e sconfortanti. Il fenomeno è conosciuto come “News Fatigue”, di cui magari parlerò in un altro articolo.
Per cui ho fatto una scelta: non voglio lasciare questo blog senza nuovi articoli, allora ho pensato di parlare di vita, quella vera. Ho deciso di parlare di cose quotidiane, cose in cui tutti possono rivedersi.
Vivere o sopravvivere?
Questa domanda è frutto di un lungo percorso e dell’acquisizione di consapevolezza. Ho scelto di parlarne guardando le reazioni ad alcuni miei post su Instagram. Ormai lo sapete, mi piace lavorare a una narrazione social diversa, meno patinata e più reale.
Tutte le volte che ho parlato di vita vera e fragilità, come nel caso della mia vacanza da solo o della mia difficoltà nell’essere adulto, la reazione è sempre stata positiva. Ho sempre trovato persone che sentivano vicini questi temi. E allora perché non parlarne?
La domanda è semplice: vivere o sopravvivere? Ma, alla semplicità della domanda, non corrisponde altrettanta semplicità nella risposta e nel comprendere le implicazioni della domanda stessa.
Cosa vuol dire vivere? Cosa vuol dire sopravvivere? In cosa siamo ingabbiati? Cosa c’entra la libertà? Le domande sono tante e, con ogni probabilità, io non ho nessuna risposta universalmente valida. Ma in questo articolo vorrei provare a fare delle riflessioni, nella speranza che siano utili a qualcuno.
Il mio percorso di psicoterapia
Temo che, prima del gennaio 2022, io non mi sia mai interrogato su questa dicotomia del vivere e sopravvivere. Sentivo qualcosa di irrisolto, qualcosa che non mi tornava, qualcosa che mi opprimeva. Così ho deciso di intraprendere un percorso di psicoterapia.
Da lì a pochi mesi, non avrei mai immaginato che la mia visione delle cose sarebbe radicalmente cambiata. Ho iniziato a dare un nome alle cose che non mi facevano stare bene, ho iniziato a capire quanto il giudizio degli altri avesse peso su di me, ho iniziato a cambiare punto di vista.
Dopo i primi 5-6 mesi del percorso di terapia, con la mia terapeuta avevamo usato una similitudine: era come se avessi aperto il mio zaino e lo avessi svuotato da una serie di sassi inutili che mi appesantivano. Ma non solo: è come se, una volta svuotato quello zaino, avessi scelto di lanciarmi nel vuoto. Stavo cadendo, ma la cosa non mi preoccupava.
Ricordo perfettamente quella sensazione: non mi ero mai sentito così vivo come mai prima di quel momento. Da quel momento in poi, il mio concetto è radicalmente cambiato: fino a quel momento stavo sopravvivendo, da lì in poi avrei iniziato a vivere.
Esperienze di vita vera e vissuta
Dovessi descrivere la differenza tra vivere e sopravvivere, lo farei in questi termini: uno sopravvive quando permette alle opinioni e al giudizio degli altri di essere prevalenti e prevaricanti nelle scelte che si fanno. Uno invece vive, quando l’unico metro di scelta è uno e soltanto uno: fare ciò che ti fa stare bene, fare ciò che ti piace, o banalmente fare ciò che ti fa sentire vivo.
Può sembrare banale, ma oggettivamente lo senti quando stai facendo qualcosa perché pensi che siano gli altri ad aspettarsi che tu lo faccia. Di contro, lo senti quando stai facendo qualcosa che ti fa sentire vivo, quando stai facendo qualcosa che senti tuo, quando il giudizio degli altri sparisce.
E così io ho iniziato a sentirmi vivo quando ho fatto la mia prima vacanza da solo. Quando ho scelto di accantonare il giudizio che avevo interiorizzato, per cui “se sei solo sei sfigato”. E mentre camminavo da solo per Verona, ho sentito la vita vera scorrermi per le vene. Allo stesso modo, l’ho sentita quando sono andato da solo a Roma per vedere il Cirque du Soleil. Ero vivo davvero.
Tutto cambia volto quando smetti di fare le cose per consuetudine: tutti al mare a Ferragosto, tutti la scampagnata a Pasquetta, tutti in discoteca il sabato. Tutto cambia quando vai fuori rotta rispetto a queste aspettative, ma inizi a seguire solo la tua rotta
Segui solo la tua rotta
In un articolo ho parlato di questa questione del “fuori rotta”, partendo da Dimmi di te di Chiara Gamberale, da cui ho capito una cosa: la vita è solo fuori rotta. Perché se segui la rotta altrui, stai vivendo la vita degli altri, non la tua.
Un piccolo episodio recente me lo ha ricordato. Quest’anno ho poca voglia di andare al mare, non mi va di cercare parcheggio, camminare sotto il sole e tutto il resto. L’altro giorno, però, avevo deciso che sarei voluto andare al mare. Errore madornale: mi sveglio la mattina, apro la finestra e il cielo si preparava al temporale.
Così ho cambiato programmi, ho preso il treno e sono andato a Firenze per vedere una mostra e per passeggiare. Ho avuto culo. Ho beccato quel venticello che ti fa venire un brividino di freddo: un clima perfetto.
Arriviamo al punto: l’ordinario mi avrebbe voluto al mare, o comunque Firenze, il 6 luglio, è qualcosa di altamente sconsigliato.
Ecco, avessi seguito l’ordinario mi sarei perso un aperitivo condito con brividi di freddo, un bellissimo cielo grigio e malinconico. Avrei perso volti, vita, pozzanghere. E allora, da cintura nera di paranoie, seduto in un bar mi sono chiesto: quante cose abbiamo perso seguendo l’ordinario e la rotta degli altri? Quanta vita abbiamo schivato per paura di andare fuori rotta?
La vita vera non è, forse, fuori rotta?
Conclusioni
Forse questo articolo potrebbe sembrare una serie di seghe mentali inutili e grandissime paranoie. E forse lo sono. Però io sono fermamente convinto che le paranoie siano fondamentali. Però ecco, queste paranoie mi hanno aiutato a crescere, a farmi le giuste domande, a prendere la rotta giusta: la mia.
Io ero un adolescente secchione e saccente, che lottava con un’omosessualità che non accettava. Mentre tutti facevano le prime esperienze sessuali e sentimentali, io lottavo con me stesso, non vivevo la vita di tutti gli adolescenti, non mi permettevo di essere me stesso. Lottavo per essere uguale agli altri.
Viviamo in una società che veicola modelli standard, che vive di omologazioni e semplificazioni. I social media oggi pullulano di modelli da seguire, di persone a cui ispirarsi, di strade suggerite. Viviamo per seguire le rotte degli altri.
Peccato che questo voglia dire sopravvivere. Vivere è l’esatto contrario: seguire la propria rotta.